Salerno, come tante altre città rivierasche, ha da sempre avvertito l'esigenza di un approdo marino stabile ed efficiente, che conciliasse la necessità dei flussi mercantili e gli interessi dell'economia locale. Tuttavia, per molto tempo il processo di sviluppo dello scalo è stato frenato dalla vicinanza di Amalfi, che, come noto, vantava una tradizione di traffici marittimi e di cui i salernitani si servirono per le operazioni navali fino alla seconda metà del IX secolo.

Altro fattore limitazionale allo sviluppo dell'emporio fu il fenomeno dell'insabbiamento, dovuto alle caratteristiche geomorfologiche del litorale salernitano, che rendeva impraticabili i fondali interni al lungo molo.

A causa delle insufficienti conoscenze sulle tecniche ingegneristiche, solo nel 1752, sotto il regno di Carlo III di Borbone, si addivenne ad una seppur parziale soluzione al cronico problema costruendo un molo di piloni che avrebbe permesso il deflusso di acque e detriti lasciando inalterato il livello del fondo marino.

Così, nel 1852 Salerno poteva contare su un modesto “porticciolo” costituito da un molo che si estendeva dalla spiaggia per una lunghezza di 150 metri e da una diga di protezione della lunghezza di 75 metri orientata da scirocco a maestrale. In quell'anno i traffici raggiunsero quelli amalfitani grazie anche all'impulso stimolato dal crescente numero delle piccole industrie locali.

Solo agli inizi del 1900 grazie all'intervento dello Stato nell'ambito di un piano di riordinamento dei porti di interesse nazionale, furono ultimati gli interventi di ampliamento realizzando la prima vera struttura portuale che rappresenterà per oltre mezzo secolo il fulcro delle attività provinciali. Una serie di lavori di delocalizzazione, ristrutturazione ed ampliamento effettuati dal secondo dopoguerra ne hanno arricchito la fisionomia e l'efficienza fino a rappresentare oggi un considerevole centro di smistamento del commercio marittimo internazionale.